Ghostwire Tokyo: intervista esclusiva con Kenji Kimura e Suguru Murakoshi

Dal processo creativo all'amore per il folklore nipponico.

Ghostwire Tokyo: intervista esclusiva con Kenji Kimura e Suguru Murakoshi

Ghostwire Tokyo (Voto: 9 - Recensione) è ormai in dirittura d'arrivo su PC e PS5 e il nuovo lavoro di Tango Gameworks è pronto a offrire un'esperienza dal sapore tipicamente nipponico. Qualche giorno prima della pubblicazione della nostra recensione abbiamo avuto modo di parlare direttamente con Kenji Kimura e Suguru Murakoshi, rispettivamente il Game Director e il Game Designer del gioco: ecco il resoconto della nostra chiacchierata esclusiva.

 
La torre di Tokyo, uno dei simboli della città, è presente nel gioco.

Una Tokyo per tutti?

Una delle mie principali curiosità verteva proprio sulla rappresentazione così realistica di Tokyo, estremamente ricca di rimandi al folklore nipponico. Ho chiesto se questa scelta è nata per attrarre un pubblico più vasto di quello tipicamente giapponese o se, viceversa, il gioco sia rivolto soprattutto a chi ama questo tipo di cultura.

"Uno dei temi che avevamo in mente nel processo creativo del gioco era quello di creare un'esperienza in cui il giocatore potesse godere di un giro turistico a Tokyo, o meglio, di un giro turistico in un gioco paranormale", spiegano gli autori. "Per quanto riguarda le informazioni di cui il giocatore potrebbe aver bisogno per godere appieno di un'esperienza dall'impronta così peculiare, abbiamo fatto in modo che i due protagonisti dialogassero spesso e in maniera naturale. Attraverso quelle loro conversazioni", ha continuato Kimura, "è possibile ottenere diverse informazioni su eventuali curiosità inerenti il mondo nipponico. Nella rappresentazione del nostro folklore, tuttavia, non avevamo intenzione di allontanare parte dell'utenza, e ci siamo innanzitutto mossi per allestire un'atmosfera cinematografica e affascinante, adatta per ogni tipo di pubblico".

"C'è un ultima cosa che vorrei aggiungere a riguardo:", prosegue Kimura, "Tokyo è stata una grandissima fonte di ispirazione per noi, abbiamo lavorato tantissimo e camminato per l'intera città per scegliere quanto di più affascinante la città potesse offrire, per adattarlo al meglio in ambito videoludico e regalarlo a un pubblico più vasto possibile. Considerando solo il numero di turisti che visitano ogni giorno la città, è chiaro come sia di grande richiamo anche per un pubblico non giapponese".

 
Una delle leggende metropolitane prende vita tra le stradine di Tokyo.

"Inoltre, il gioco offre un gran numero di rimandi a molte leggende metropolitane" ha puntualizzato Suguru Murakoshi. "E le leggende metropolitane sono piuttosto simili, anche tra diverse culture. Hanno un impatto totalizzante e subiscono contaminazioni reciproche da un paese all'altro. All'inizio si tende a pensare che siano interessanti proprio per le loro radici nipponiche, ma in realtà i concetti e gli insegnamenti che si trovano in questi racconti hanno un respiro universale".

Tokyo: su schermo e in tasca

Un'altra domanda che ci tenevo a porre era proprio sul gran numero di contenuti presenti all'interno dell'archivio. Ghostwire Tokyo, infatti, presenta una quantità enorme di file che spiegano ricette, cibi unici, oggetti antichi legati al folklore giapponese e descrizioni particolareggiate di spiriti e leggende metropolitane. Ho chiesto per quale ragione non avessero messo maggiormente in risalto questo tesoro nascosto di informazioni, che stipato nell'archivio rischia di non essere valorizzato quanto merita. Kimura e Murakoshi hanno sorriso prima di rispondere: "Tutto ciò che volevamo avesse uno specifico risalto è sempre spiegato attraverso i dialoghi. Ci sono spesso scambi verbali, che contengono anche spiegazioni implicite di ciò che accade o che si vede e sono tutte cose immediatamente fruibili, semplicemente ascoltando".

"Sì, ci sono tantissime informazioni sugli oggetti all'interno dell'archivio" ha puntualizzato Murakoshi annuendo "ma si tratta di elementi extra che non sono davvero necessari ai fini del gameplay. Queste informazioni sono state inserite per quel pubblico che volesse approfondire anche i particolari più piccoli. Il flusso di informazioni è intenzionalmente diviso in questo modo, proprio per non avere la necessità di spiegare ogni cosa tramite i dialoghi: sarebbero state troppe le cose da spiegare, e non volevamo che il gioco somigliasse a una sorta di lezione sul nostro folklore. Quindi, per chiunque volesse saperne di più c'è moltissimo testo a disposizione. Gli utenti più interessati, possono semplicemente spendere il loro tempo immergendosi nell'UI e leggere di più su ogni singolo elemento. Non essendo informazioni necessarie al completamento del gioco", ha concluso Murakoshi, "abbiamo deciso di operare questa suddivisione".

La genesi di una città fantasma

Riallacciandomi a miei gusti personali, ho proseguito chiedendo per quale motivo il team si fosse allontanato così tanto dalla visione oscura e smaccatamente horror vista in Evil Within e nel suo seguito. Ghostwire Tokyo ha certamente momenti terrificanti, ma sembra più un thriller-action mistico, con momenti nei quali si può anche sorridere o tirare un sospiro di sollievo e volevo sapere i motivi di questo cambio di direzione. "I primi due giochi appartengono all'esordio del nostro studio e ne siamo soddisfatti", ha spiegato Kenji Kimura annuendo orgogliosamente, "ma è importante che il pubblico ci veda come degli sviluppatori eterogenei, la nostra identità è basata principalmente sulla realizzazioni di grandi giochi e nuove esperienze. Per questo", ha concluso Kimura, "abbiamo deciso di non rimanere chiusi all'interno di un determinato lavoro o legati a doppio filo a un certo franchise".

 
Anche gli interni nascondono numerose insidie.

Tra le caratteristiche più interessanti di Ghostwire Tokyo c'è il sistema di combattimento e il movimento delle mani del protagonista, che sembra ispirato al kuji kiri, quella sequenza di posture che assumono vari significati in certe discipline e religioni orientali. Ho chiesto se quelli che vediamo nel gioco sono autentici movimenti ispirati a tali discipline e qual'è stata la fonte di ispirazione principale per la realizzazione di animazioni così sinuose e affascinanti.

"Innanzitutto, grazie per i complimenti per le animazioni", ha esordito Murakoshi con un inchino. "Nel nostro gioco abbiamo voluto inserire un'esperienza peculiare e una giocabilità unica. A tal proposito c'è una sorta di mantra che è nato e cresciuto durante lo sviluppo: volevamo che Ghostwire Tokyo potesse offrire sempre qualcosa di straordinario, anche muovendosi nell'ordinario. E in questo caso, il fulcro dell'esperienza sono i nemici. I nostri avversari sono fantasmi, entità non fisiche. Per cui non avrebbe avuto senso un sistema di combattimento che usasse oggetti fisici come pistole o fucili. Per questo abbiamo guardato indietro nella nostra cultura e sviscerato nelle radici delle tradizioni giapponesi, per trovare l'ispirazione, un modo unico per affrontare un nemico così insidioso".

 
Stradine e santuari incorniciano la parte più urbana della città

"Le antiche rappresentazioni teatrali alle quali ci siamo ispirati erano spettacoli frequenti nelle corti reali e nelle cerimonie religiose, e mostravano impavidi combattenti alle prese con spiriti maligni. Abbiamo osservato con attenzione come venivano realizzate e, beh, usavano moltissimo il movimento delle mani. Si tratta fondamentalmente di una specie di stregoneria giapponese, di molto tempo fa. Inoltre alcune movenze le vediamo nel Ninjutsu. Così, ci siamo consultati con l'intero team per sviluppare uno stile di combattimento, un movimento delle mani tanto potente da colpire degli spiriti, delle entità non fisiche. Abbiamo provato un sacco di tecniche diverse, abbiamo provato moltissime animazioni per le mani nel corso dello sviluppo, in un lungo processo di trial and error. Proprio grazie a questo processo", conclude Murakoshi, "penso che siamo riusciti a realizzare qualcosa di unico, potente, non semplicemente ricalcando movimenti reali come il Ninjutsu o altre pratiche viste nei filmati delle antiche rappresentazioni teatrali. Per quanto d'ispirazione, volevamo creare un nostro "ghost-play", una visione di combattimento unica, con cui affrontare mostri dall'aldilà. E siamo stati assai lieti di sentire che le animazioni sono sinuose e affascinanti, perché ci abbiamo lavorato davvero tantissimo".

 
Il gran lavoro sulle animazioni è lampante.

Per concludere la nostra chiacchierata, torniamo a Tokyo: la città è ovviamente protagonista del gioco, ed è interessante capire come gli autori l'abbiano realizzata, e quali differenze intercorrano tra la versione digitale e quella reale.

"La vera Tokyo, naturalmente, è molto più grande e infinitamente tortuosa", esordiscono gli autori, passandosi continuamente la parola. "Per questo è stato davvero difficile girare per i numerosi punti di interesse e creare una Tokyo che fosse al tempo stesso accessibile e interessante da esplorare. Così, abbiamo preso le parti più iconiche della città, unendole anche a zone che non fanno parte di Shibuya, che rappresenta il fulcro della struttura del gioco. Parte del processo è stato quello di "cucire" organicamente queste parti, in modo da renderle fruibili e divertenti senza apparire dispersive. Il punto focale, il nostro traguardo è sempre stato il divertimento dell'utente finale, restituirgli il piacere di esplorare aree dense e ricche. Grazie a questo lavoro, non certo facile, la sensazione che volevamo restituire era quella di una Tokyo realistica, anche se formata "solo" dalle parti più interessanti e disposte in modo che fossero divertenti da raggiungere ed esplorare".

"Di fatto", conclude Murakoshi "abbiamo creato prima l'intera città, e questo è qualcosa che altri sviluppatori non farebbero. Normalmente, infatti, si crea un gioco insieme alla città o alla mappa, o si lavora prima sul gameplay e successivamente sull'area nel quale prenderà vita. In questo caso, benché sia poco ortodosso, abbiamo realizzato prima la città, con quel gran lavoro di "taglia e cuci" di cui parlavamo prima e poi allestito intorno il gameplay. Si è trattato di un processo lungo e molto, molto difficile, ma ne siamo assai soddisfatti. Pensiamo che l'unicità di Ghostwire Tokyo nasca proprio da questo processo invertito. E speriamo vivamente che i giocatori apprezzeranno il nostro lavoro, divertendosi con il gioco", ha concluso Kenji Kimura.

Mi sono quindi congedato con un saluto in un maccheronico ma orgogliosissimo giapponese, sperando che la mia "invidiabile" pronuncia non rovinasse tutto: Kimura e Murakoshi hanno risposto con entusiastici inchini e una valanga di "Thank you": pericolo scampato, spero.

Ghostwire Tokyo è in uscita il 25 di questo mese, per PC e in esclusiva temporale su PS5.

In questo articolo

Ghostwire Tokyo

Tango Gameworks | 25 Marzo 2022
  • Piattaforma
  • PC
  • PS5
  • XboxSeries
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